La poesia in quanto arte può contribuire a fare qualcosa contro la crisi economica? I poeti, come comuni mortali ma anche come uomini dotati di estro e di particolare sensibilità, possono fare qualcosa contro la crisi?

Questi sono le domande che mi pongo da alcuni anni e che solo da alcuni mesi mi hanno spinto a proporre una nuova antologia d’impegno civile.

Credo che mai come adesso sia il momento di dare la parola all’anima dei poeti perché esprimano, al riguardo, la propria visione.

Da tempo è in corso, in lentissimo e quasi invisibile stillicidio, un processo inteso a svuotarci di quegli elementi di certezza ai quali fino, fino ad ora, avevamo fatto sicuro riferimento, a principiare dal posto di lavoro a da quella, anche piccola, sicurezza economia che ne deriva e che ogni singola persona o le famiglie avevano avuto modo di procurarsi. Lo stillicidio è stato così perfettamente studiato e con raffinato acume che risulta quasi difficile credere che tutto sia stato teorizzato più di 30 anni fa da menti diaboliche, con dottrine truccate di virtù, trovando terreno fertile in Europa e in certe politiche comunitarie. Alcuni studiosi (filosofi, economisti e ricercatori vari) dispongono di dati e di nomi di fautori di questo piano, ma anche di nomi di politici che hanno segretamente appoggiato questa colossale truffa.

Mentre solo ora, a distanza di quasi venti anni dall’avvento dell’Euro, è agli occhi di tutti che si siano scesi parecchi gradini all’indietro, che non se ne sia avvantaggiata la dignità dell’uomo, che sia stato favorito l’impoverimento economico sia individuale che familiare. Fino a pochi anni fa appariva difficile accorgersi del percorso a passo di gambero che era iniziato e che ancora continua, verso lo svuotamento e l’impoverimento. Oggi è tutto leggibile da chiunque: è vita quotidiana. Nessuno deve spiegarci che le grandi schiere di lavoratori e di pensionati, le masse popolari, le braccia che spingono la ruota della grande macchina economica, i settori primari e secondari delle attività produttive, si trovano in ginocchio e non certo per pregare. Solo oggi ci si accorge che  un lavoratore con il suo normalissimo stipendio (di bidello, di guardia giurata, di poliziotto, di operaio edile o di fabbrica etc.), che fino a metà degli anni '90 riusciva a mantenere dignitosamente la propria famiglia (con affitto o mutuo da pagare e tutto quello che potesse occorrere per il fabbisogno di una casa), oggi non riesce ad arrivare a fine mese, vivendo con la febbricitante angoscia di non farcela.

Può immaginarsi quale possa essere la situazione di quelle famiglie in cui non esiste un reddito sicuro, come uno stipendio. Si pensi ai cassintegrati, in mobilità, che stanno “come foglie in autunno sull’albero”, pronti a perdere lavoro, buonuscite, liquidazioni. Quante sono in Italia le famiglie che vivono al limite della povertà? Mi riferisco a quelle persone e famiglie che non sono state mai povere, perché hanno potuto avvalersi di un lavoro col quale dignitosamente gestire il proprio bilancio familiare; queste, fino a meno di quindici anni fa, non avevano alcun problema poiché su quel lavoro era puntata la loro esistenza, mentre ora fanno parte del lungo elenco degli impoveriti. Quante sono in Italia le persone che vivono nello squallore più terribile percependo modesti sussidi di povertà?

Forse non è compito del poeta occuparsi di crisi, essendo piuttosto il politico deputato ad essere garante, portavoce e intermediario dei bisogni del popolo. Ma se il politico sonnecchia o segretamente porta al suo mulino chiare fresche dolci acque, gli intellettuali che fanno? Forse le problematiche della crisi vanno combattute con le grida della contestazione, con petizioni o con i ragionamenti filosofici o con i colori, con la musica, con il cinema, con i quali si riesce meglio a coinvolgere e istruire meglio le masse. Se nessuno fa qualcosa di concreto contro la crisi è meglio per il poeta tacere o intervenire? E allora è meglio “esprimersi e morire, vivere o rimanere inespressi” (prendo in prestito una famosa frase di Pier Paolo Pasolini). Di sicuro non sarà la poesia a debellare la corruzione, il ladrocinio cannibale dei nostri politici ed amministratori o a fermare le grandi potenze internazionali che hanno stravolto e corrotto gli equilibri dell’economia mondiale e della nostra Nazione, ma è certo che la voce del poeta, attraverso il suo intervento anche di pochi versi, non sarà del tutto inutile.

Concepisco quest'antologia d'impegno civile come un implicito manifesto di protesta, ma anche e soprattutto come un messaggio di speranza per il cambiamento Una lotta fatta con una pacifica e democratica ribellione, un documento di denuncia, una coraggiosa testimonianza di civiltà, di democrazia e di cultura, in cui vengono rivendicati i diritti a una vita vivibile a misura umana, secondo categoria d’appartenenza e delle leggi della democrazia e del buon vivere.


Un’operazione culturale per poeti desti e coraggiosi, che possa intervenire significativamente, con l’incisività dell’espressione artistica, per suggerire possibili soluzioni ai così gravi problemi del presente.


Giovanni Dino