INTERVISTA A ORLANDO RUSCONI CLASSE 1925  IMBONITORE

Fiere e  mercati, fin dai tempi più remoti e a tutte le latitudini,  sono per definizione  luoghi di vendita di prodotti e vari generi merceologici, ma anche  momenti importanti di aggregazione  e  socializzazione.

Sia nella società contadina, sia in quella industriale, il mercato è un forte momento  catalizzatore per uomini e donne alla ricerca dell’affare, del particolare oggetto o semplicemente ritrovo per  coloro che vogliono  acquistare, osservare, confrontare i prodotti . Mercato  è  anche “teatro di strada” e sul suo palcoscenico,  la piazza, si muovono e agiscono molti personaggi  in quella che potremmo definire la grande rappresentazione dell’esistenza umana. Mercanti,  strilloni, imbonitori, battitori, ciurmatori, scarpinanti  ci hanno tramandato l’arte istrionica della vendita all’incanto.Per istrionismo o arte di piazza si intendono tutte quelle forme di pubblicità diretta o di comunicazione con cui si induce la gente a compiere una determinata azione, un acquisto. Energia latente,  convinzione, fluido, furberia, malizia, oltre che dialettica e forza sono  termini che uniti insieme possono  definire l’imbonimento.  Ancora oggi piazzisti, comunicatori,  attori e soprattutto politici  fanno largo uso di queste tecniche  di persuasione.  Con la crisi delle idealità, voti e consensi  sono divenuti  preziose merci di scambio e queste tecniche acquistano grande rilevanza ed attualità. L’intervista  a Orlando Rusconi detto “Il rosso di Porta Romana” per il colore dei suoi capelli, noto imbonitore della piazza milanese, evidenzia gli aspetti  comunicativi  e  persuasivi dell’arte di “vendere parole”. Inoltre fa  emergere anche l’elemento  ambientale del mercato con i suoi protagonisti e i personaggi più caratteristici.  Rusconi,  ora in pensione,  ha esercitato la professione di battitore nelle fiere e nei mercati del nord e del centro Italia  per circa cinquant’anni. La sua attività è stata ampiamente documenta da Riccardo Grazioli nel volume della Regione Lombardia “Milano e il suo territorio”, (Silvana Editoriale  1983), dove è trascritto il suo imbonimento e con disegni sono fissate le diverse fasi della vendita. Rappresenta  una particolare categoria di venditori  diffusa fino a qualche anno fa che operava nei mercati  vendendo vari prodotti mediante una “dimostrazione” preliminare, che rende  più appetibile la merce agli occhi del  compratore. L’imbonimento che,  visto in un’altra prospettiva, possiamo definire una sorta di “piece teatrale”con cui il pubblico viene indotto all’acquisto, paragonabile al  motivo  musicale che scaturisce dall’oboe dell’incantatore di serpenti o al fluido magnetico dell’ipnotizzatore. Oggi questa professione si è modificata notevolmente e al posto della piazza del mercato si è  sviluppata quella virtuale della televisione e della rete internet.Come vedremo nell’intervista, anche se con notevoli modificazioni, i meccanismi e  le tecniche sono molto simili.  Orlando Rusconi ci ha svelato alcuni suoi “segreti”, abili trucchi con cui riusciva a creare intorno al suo banco, quello che definisce un “bel treppo” cioè un gran numero di persone assiepate e intente  ad ascoltarlo e, soprattutto,  propense all’acquisto. Un percorso raccontato con la brillante capacità di un consumato attore che ha esordito  nell’ambiente del commercio al dettaglio nelle fiere e nei mercati dell’immediato  secondo dopoguerra.  Il mercato è qui descritto come un  microcosmo che molti di noi, non più giovanissimi,  ricordano ancora, dove si potevano incontrare personaggi tipici e fantasiosi, macchiette, trafficanti, gente che per vivere si ingegnava a escogitare  trucchi, arguzie e inventava novità,  affinando l’antica arte di arrangiarsi, c’è anche una descrizione del gioco delle tre carte o tavolette,   finalizzata ad alimentare quella anche Orlando Rusconi  definisce la  “ fabbrica dell’appetito”. Autentica lezione di “teatro di strada” e  scorcio di vita cittadina che a nostro avviso ricompone quell’insieme, ancora poco indagato, di microstoria recente che  vale la pena di rileggere e confrontare con le roboanti proposte odierne, non per alimentare  nostalgiche visioni, ma per scoprire gli attuali  disincanti o semplicemente  per immaginare momenti di spettacolo, col suo  gergo, la  mimica e  i suoi maestri.

SIG. ORLANDO QUANDO HA COMINCIATO IL SUO LAVORO DI VENDITORE ?

Ho iniziato subito dopo la guerra,  le paghe erano molto basse in quel periodo , gli operai guadagnavano poco, poi io non ero un operaio finito, quindi la mia era bassissima, insomma un po’ per questo, un po’ per pigrizia, non andavo “a bottèga”.  Una sera ero a casa di un mio amico, Piero Cremona, con tanti altri amici, Piero dice a suo padre  “Adesso l’Orlando ti fa l’imitazione!” “Dai vai! Ma no, ma si!, ero un po’ timido …e allora gli ho fatto l’imitazione, L’imitazione consisteva nel copiare l’imbonimento che faceva in piazza per vendere i suoi prodotti, ed è riuscita così bene che mi ha detto “Ti te podariet fa el mè mestèe!” ( potresti fare il mio mestiere).

Allora  iniziai  il lavoro di battitore che fu determinato da quella  imitazione!. Favorito Cremona, così si chiamava, fu quindi il mio maestro colui che mi spinse a fare questo mestiere e pare che calzi su misura. Allora  non c’era una scuola che insegnava, l’unico modo per imparare  era quello di affiancarsi a un maestro, al battitore, rubare il mestiere.

Favorito Cremona faceva  parte di una “elite” di venditori che a quei tempi là, parliamo  del ’45- ’50,  erano una minoranza. Cioè se sul mercato c’erano 100 venditori, di battitori ce n’era uno solo. In quel periodo, la gente non aveva molti soldi e questa era una ragione per la quale il venditore  vendeva “fumo”. Perché erano tutti articoli che erano dei trucchi. Per citarne uno: “Il Cromital”, che appunto doveva cromare tutti gli oggetti di ottone. Oppure la radice per rendere bianchi  i denti, la “galanga” che era un classico dei   venditori che venivano dalle ex colonie, gli eritrei e somali : avevano questo viso scuro e quindi la dentatura  bianca spiccava maggiormente. Anche loro facevano degli imbonimenti eccezionali.

Arrivati agli anni ’50 /’55  si è  cominciato a vedere sul mercato venditori che non avevano più  bisogno di ricorrere a questi articoli e perciò la proposta veniva effettuata con della merce. In genere sempre il campo dei casalinghi  è stato molto ricco di novità. Pian piano il mercato è cambiato  e sono comparse le prime  novità,  certi utensili e,  di conseguenza, c’è stata la trasformazione  anche nel mestiere di battitore diventato  a tutti gli effetti “dimostratore”.

Si commerciavano piccole affettatrici, ricordo che avevano  lanciato un tipo di “affetta-verdure” multiuso, non solo le affettava, ma le tagliava a bastoncino, tritava le verdure stesse e sono  cominciate le prime griglie, le prime padelle,  il torchietto che era un attrezzo dotato di una manovella elicoidale e aveva dischi che si mettevano alle estremità e quindi si poteva tritare tutta la verdura.

C’erano poi venditori con il “campionario” che comprendeva la bigiotteria: anelli, spille bracciali, parure, penne, matite, stilografiche e orologi  e questo era un genere che per un venditore  era il massimo.

VUOLE DESCRIVERCI COME ERA IL MECCANISMO DELLA VENDITA?

Questi venditori avevano una tecnica  particolare ricchissima di “portate”, che nel gergo sono gli argomenti finalizzati alla vendita.

Lo “spillo”, invece, s’ intende la presentazione del banco, cioè una esposizione fatta molto bene,con un effetto che ti punge,  ti arriva addosso con uno stimolo  di grande peso.

Un grande imbonitore  e cantastorie di Pavia nelle  “portate” faceva appello  al fatto che gli oggetti che proponeva erano costruiti dai bambini, da orfani, andava  a  toccare corde estreme. Si chiamava Adriano Callegari  e faceva i suoi “treppi” anche a Milano, diceva “ Avete sentito di quel bambino semiparalizzato…. Però con le sue manine ha fatto questo….ecc.. ecc.., tutti argomenti che toccavano il cuore della gente.

Quelle erano  “portate” pesantissime, ma siccome a lui facevano gioco  appunto in un contesto come quello, di grande treppo, di grande concentrazione di gente, di calca, bisognava giocare sui sentimenti forti. Siamo nel campo  dei venditori di “fumo”, ma proprio per questo dovevano essere maggiormente  bravi nell’imbonimento! Perché altrimenti non riuscivano a guadagnare.

Un’altro di questi personaggi è stato il famoso Favorito Cremona, come ho detto prima, il mio maestro!. Cremona ha avuto anche un figlio d’arte, Piero, anche lui grande imbonitore e un nipote, Raul, che calca le scene dei teatri, va in televisione col nome d’arte di “Mago Oronzo”e quasi come se avesse preso lo spunto  dal  nonno,  fa giochi di prestigio.

 Favorito Cremona  si era inventato il “Sivedebene”.  Allora  veniva prodotto in casa, proprio nella sua abitazione, dalla moglie e dalle vicine, ma veniva presentato come fabbricato dalla INAO Industria Nazionale Artigiana Ottica . Le dimensioni di questo oggetto erano di dieci, dodici centimetri e quando si riduceva diventava la metà, circa 6 cm. Era un oggetto tascabile ,  fate conto di vedere un monocolo con un piccolo carrello che scorre, sul quale ci sono due lenti che erano snodabili e indipendenti, se ne poteva adoperare una come lente d’ingrandimento e, se si mettevano in asse tutte e due,  diventava un cannocchiale. C’era una lente pianoconvessa e una lente biconcava e queste, messe insieme formavano il cannocchiale, se non nella forma, nella sostanza perché le componenti erano quelle. Oltre a fungere da lenti d’ingrandimento nelle sue  mani diventava …posto su delle fotografie, scelte appositamente, molto contrastate, diventava uno “Stereoscopio”, cioè si vedeva l’immagine in rilievo. Una cartolina che raffigurava  un paesaggio e dava l’impressione che le montagne fossero addirittura in rilievo.                                

Quando  Cremona era in forma riusciva a presentarlo  in un modo che mi faceva sbalordire! Poneva questo oggetto su un bastoncino e, durante l’imbonimento in piazza  diceva alla gente: “Bene! Vi capiterà di andare a vedere una corsa all’ippodromo o di vedere una manifestazione sportiva, c’è un sacco di gente davanti a voi e  non riuscite a vedere assolutamente niente?…Avete risolto il problema! Mettete il nostro “Sivedebene” su questa cannuccia, lo legate con un elastico, ponete le lenti in questo modo, gli elementi di sbieco, lo alzate con uno specchio sotto e voi vedrete tutto quello che avviene dall’altra parte e avete fatto, quasi senza volerlo, Il periscopio!”.

Ecco questo serve appunto a dire come la fantasia di un venditore e l’entusiasmo sono la componenti essenziali.  Poi  concludendo  la posta del “siloscopio” o sivedebene, poneva le lenti in asse presentandolo come  un cannocchiale e  quando avevail banco vicino  al Duomo, nei pressi dell’Arcivescovato, lo alzava , lo metteva  a fuoco inquadrando le guglie del duomo, lo puntava sulla Madonnina  e diceva: “Eccola sembra qui! A portata di mano, vista attraverso il nostro “Sivedebene” Poi mostrava ad una persona  ormai suggestionata da tutta la presentazione e chiedeva “Sivedebene?”  e la risposta non poteva che essere “Sìììììì!” E così il maestro concludeva  la sua dimostrazione e vendeva tantissimo.

 

COME SI FA A NON PERDERE MAI L’ATTENZIONE DEL PUBBLICO?

 Una cosa importante da dire  per quanto riguarda la contiguità con il gergo della malavita  è che il venditore si riteneva un dritto” rispetto al compratore, proprio per questo chiamato gaggio” cioè, già la parola lo dice,  uno che puoi imbonirlo facilmente, puoi portarlo in giro come vuoi.  Invece il venditore  era consapevole di possedere la forza dell’incantatore,(*) forza posseduta ad esempio  dai politici, chiacchieroni anche loro, che attraggono la gente con l’arte oratoria. Quindi il battitore aveva appunto  questa forza giocata sulle parole.

Uno dei metodi è quello di non smettere mai di parlare in modo che l’altro non abbia il tempo di riflettere.  

La dimostrazione più lenta è la prima in quanto non c’è nessuna persona già  ferma ad ascoltare. Non essendoci neanche una persona bisogna impiegare un certo tempo per avvicinare il gruppo di gente che può arrivare anche a 20, 30 persone. Quando naturalmente uno conclude vendendo, sfrutta questo effetto, cioè il fatto che ci sono degli acquirenti, su quelli  che sono arrivati dopo e che non hanno visto tutta la presentazione. Nella successiva presentazione “riprende” il discorso, fa un’altra presentazione e,  in un tempo più breve riesce a fare un’altra posta o dimostrazione. Non deve mai mollare perché se si crea una pausa, anche se non molto lunga, si deve poi ricominciare tutto da capo e questa è una cosa negativa.

Oltre al tono della voce che è molto importante, uno dei sistemi è  avere il “saraffo” , il “compare”, a volte chiamato anche il sotto. Si usava un tempo, era una persona d’accordo con il venditore che stava davanti, incollata al banco e quindi la gente si avvicinava più facilmente, perché c’era già un’altra persona che era ferma ad ascoltare. Ci sono dei particolari importanti che vanno tenuti presenti nella dimostrazione che si fa, non è che la gente si avvicina con estrema facilità, no, assolutamente! C’è quello che è diffidente, che sta a due passi di distanza, c’è quell’altro che sta a due metri, allora per vincere quella timidezza  ci sono diversi modi, quello che veniva adoperato da molti venditori per fare meno fatica era il saraffo che agevolava la vendita e permetteva di vincere l’ indecisione iniziale da parte del pubblico. Come un “buona cane pastore”, il saraffo tiene compatto il treppo, vigila che non ci siano borsaioli che approfittino della situazione o che qualcuno disturbi o interrompa la dimostrazione, ma  il saraffo, serviva anche quando il venditore concludeva la presentazione. Se magari c’è tra i presenti una sola persona positiva, nel senso che si lascia convincere e vorrebbe comprare,  non si decide  perché non si muove nessuno,  per cercare di rompere questo attimo,  il saraffo  compera, fa il trascinatore e dice “Me ne dia uno!” in modo plateale, e allora quel tale che appunto era incerto, sfugge all’incertezza e dice “Anche a me”!e facilmente trascina anche gli altri avventori. Così il venditore ha motivo per continuare nella sua presentazione.

Riassumendo, c’è una fase introduttiva, un’altra  in cui il venditore descrive il prodotto, fa la dimostrazione e  ne decanta tutte le qualità  fino a renderlo indispensabile e insostituibile, più questa fase dimostrativa è allettante più la successiva fase conclusiva sarà buona. La famosa “rottura”, che può essere buona o “andare a vuoto”, quando cioè il pubblico non risponde alle sollecitazioni dell’imbonitore.

ALTRI PERSONAGGI DELLA PIAZZA NEL PERIODO DEL DOPOGUERRA

Il Vasco era un grande venditore che “navigava” intorno agli anni ’50  Aveva una speciale tecnica per “fare treppo” per attirare il pubblico, preparava  il banco in modo particolare. La tela che  vendeva veniva disposta sopra dei tappeti bellissimi e metteva grosse bancononote verdi e rosa da 5 e 10 mila lire che erano piuttosto grosse, come dei fazzoletti, faceva questa operazione molto lentamente, arrotolandole in modo da formare delle rose fermate con collane di perle o altri monili. Finchè la gente si domandava:” Ma cosa fa questo qui , da via i soldi?”  Era questo il pretesto che lui usava per attirare l’attenzione della gente. Si avvaleva anche della collaborazione della moglie, una bellissima donna, vestita in modo appariscente e oltre al banco esibiva una macchina sportiva che attirava molto i curiosi. Poi iniziava la presentazione di cui era maestro e che poteva  durare anche 30 minuti. Ricordo che lo chiamavano anche il maestro della tela o anche il “Barattino”.

Il temine deriva proprio dal concetto di “scambio”, cioè lui ti faceva vedere una tela per confezionare  lenzuoli molto lunga, ti faceva credere che con quella tela potevi confezionare quattro lenzuoli matrimoniali, senza mai parlare di misure, così a occhio. Poi la prendeva in mano e la metteva sull’avambraccio e ne aggiungeva una seconda, una terza fino ad arrivare a dieci. Quella che ha fatto vedere finisce sotto e le altre, più corte da smerciare, finiscono sopra.  Nella successiva posta faceva credere che il lenzuolo era ancora più lungo del precedente, ma che comunque anche quegli altri avevano fatto un buon affare! E così via Era proprio un genio!

Altri venditori per avvicinare la gente adoperavano altre tecniche. Ce n’era uno di Bologna, faceva tutti i mercati  d’Italia, vendeva lamette, girava con una borsa e una valigetta per i suoi effetti personali. Qui a Milano si metteva all’Arengario, vicino al Duomo, me lo ricordo negli anni tra il 50 e il ’60. Quando arrivava andava in un bar e si faceva prestare una sedia, lì sul marciapiede dov’era metteva in fianco un pezzo di giornale, dopodiché cominciava a dire: Vai, salta, salta, uno, due via! Salta vai, vieni, torna indietro tu no! Tu si!”  Giovanna, non ti muovere !E così via,  rivolgendosi al pubblico: “Scusate sono delle pulci ammaestrate!”  In questo modo attirava la gente, era il famoso pretesto per avvicinare la gente. Ricordo che faceva un pienone anche di 100/150 persone. Poi iniziava a presentare il suo prodotto: le lamette da barba  “Lama Italia”

Dello stesso calibro era un venditore di profumi di Novara. Questo cosa faceva? Raccoglieva delle bottiglie, andava alla “Nettezza Urbana” raccoglieva tutte le bottiglie di profumo o di acqua di colonia che c’erano, le portava a casa, la moglie le puliva perfettamente, dopodiché venivano asciugate, etichettate, togliendo le originali, mettevano delle altre etichette di loro produzione e poi riempivano tutte queste bottigliette di acqua colorata , quindi partivano da flaconcini piccolissimi, per finire a bottiglie da mezzo litro.

Si caricavano, perché andavano a piedi questi qua, non avevano i mezzi, due valige di fibra che saranno pesate venticinque chili l’una.Le bottiglie venivano avvolte in carta velina bianca, per dare una certa presentazione e portate poi sul mercato. Il solito foglio di carta da pacco, le due valige a terra aperte e poi in un modo o nell’altro attirava la gente e una volta formato il capannello cosa faceva? Cominciava a “sbonbonare”, a dare i bon bon; erano dei  flaconcini piccoli  di profumo, che regalava. “La porti a casa a sua sorella, lei alla sua mamma e incominciava a scaldare la gente, certo non posso.. anch’io la merce l’ho pagata, ho voluto darvi un assaggio e adesso naturalmente cominciamo con una bottiglia un po’ più grande ecco questa qui cosa costa? (dobbiamo fare il parallelo con oggi ) quanto vale? Vale mille lire!, bene di questa mi date ma che mille lire! Cinquecento, quattrocento! Toh, al primo che la vuole duecento lire! E via!” Questa, questa e quest’altra! E via, via,  passava sempre alle confezioni più grandi. Era implicito che doveva darla tutta quella merce, per una ragione semplice, perché era merce che pesava troppo, quindi riportarla indietro era dura! La frase che molte volte diceva era “Allora ecco qua la Slenzon de Paris” Slenza in gergo vuol dire acqua, l’acqua di Parigi eccola. Oppure in un momento verso la fine, arrivava sulle bottiglie grosse e diceva “E non è possibile portarla indietro, perché sarebbe come portare l’acqua alla propria fonte!”. E andava sino alla fine…Il particolare, il trucco in cosa consisteva : per quello che guadagnava io dico che la gente pagava ugualmente poco, anche perché portava a casa acqua colorata e basta però  per la fatica che faceva lui, il venditore, effettivamente…era poco.Quando faceva sentire l’odore di profumo  che cosa faceva sentire? Stappava la bottiglia ed era il tappo che faceva sentire, perché l’unica cosa profumata era il tappo. Capito?  Questo era  quello dei profumi. Subito dopo la guerra c’erano anche questi personaggi.

 

 

GERGO DELLA PIAZZA e GIOCO DELLE TRE CARTE  

Questo esce un po’ dal mio mondo, non possiamo dire neanche che siamo parenti, perché io l’ho sempre un po’ disprezzato . Io ho sempre fatto una selezione dei prodotti (....), sceglievo il più positivo. Io sostenevo che chi di trucco vive di trucco muore. E guarda caso ne ho vista tanta di gente che ha lavorato di trucco ma si è trovata sempre ecco per usare un termine gergale “a Terracina dura” , Terracina  vuol dire che proprio non ha manco una lira: “Bianco” : “Sono andato su quella piazza lì e l’ho fatta bianca di peso” : non sono riuscito a vendere niente. “Perché non vai .. non so a Varese: “Ma cosa vuoi che vada che sono bianco come un lenzuolo! Cioè la gente mi conosce! Perché non vivi di clientela ….hai capito!

Le parole importanti   non è che  le conosco tutte perché è un bel vocabolarietto, ma  soprattutto è diverso a secondo dei vari dialetti. Ad esempio la cravatta si definisce sfoglia . La “Lima” è invece la camicia, la “berta è la tasca. Cosa te gh’et in berta?…. Te s’et a Terracina? Cià andem a ciarì : chiarire vuol dire bere . No sono a Terracina. Ma vieni non fare il “gagio” Gagio è tra il pubblico il meno sveglio degli altri. Cià andiamo in quela “piola” lì a smorfire, mangiare.

Piola è un’osteria. Andiamo lì che si smorfisce veramente del togo: si mangia bene. Oppure “La Mecca” è la donna. Un termine di mestiere era “I suoi visi” è generico cioè il saraffo davanti o il sotto attraverso lo sguardo capisce cosa vuoi fare. Per esempio se dico smiccia i sorrisi e con gli occhi vai di lì, lui capisce che alla sua destra c’è qualcosa che non va. “Smiccia i sorrisi, loffio! Per dire c’è uno che è balordo dagli un’occhiata  perché se no questo qui ci rovina tutto!

Nel caso degli spillatori di brutto, perché c’è lo spillo di bello e lo spillo di brutto, sono due cose distinte. Lo spillo di bello lo fa l’imbonitore,fa tutto da solo, ed è di bello. Lo spillo di brutto invece è una paranza che lavora, una squadra di dieci componenti. Tu ne vedi uno solo, quello che fa il gioco, ma vanno da sei, sette a dieci. Perché lo spillo è molto rapido. Allora davanti ci sono quattro elementi loro, più quello che fa il gioco che fa  cinque. La tavola è molto piccola o su un  cavalletto dove c’è una tavoletta che è larga 50 centimetri per trenta, facile da ripiegare. Non c’è bisogno di una spazio maggiore, è sufficiente .

Quando lavorano nelle metropolitane, ad ogni ingresso c’è una “marmotta”, cioè c’è uno di loro che guarda sulla scala se viene giù la polizia e se arriva danno il segnale.Come danno il segnale, gli altri chiudono, basta, spariscono tutti, quello che gioca rifila tavoletta e cavalletto ad un compare che si allontana, la va a nascondere e ritorna tutto normale. Le gente che c’è lì non si accorge del segnale .

E’ un gioco di prestigio, perché lui ti fa vedere  le tre carte o le tre tavolette: “Questa vince, questa perde”e fa il gioco normale, lentamente e tu riesci a vedere dove la carta finisce, lo vedi perfettamente. Allora lui comincia i gioco, e gioca con il compare, ma la gente non lo sa. Tutto molto plateale, appoggia la mano sulla carta e dice: “ Qui cinquantamila lire” “Questa vince, questa perde” e intanto si è formato un gruppo di gente e allora solleva la carta e tac! Il compare vince!.Gioca e  perde e va avanti, lo fa una seconda volta con un’altro compare e anche questo vince le cinquantamila lire. A quel punto lì scatta la tagliola, perché bisogna tener presente il fatto psicologico di  quello che arriva sotto, chiamato in gergo  il budino, che non sa come stanno le cose, oppure non ha sentito che qualcuno è andato in disgrazia .  Se uno guarda attentamente quelli che giocano nota che hanno  sempre gli occhi in movimento,da sinistra a destra e da destra a sinistra, perché stanno aspettando che arrivi il contrasto, il budino. Quando arriva  quello che fa il gioco, fa la sceneggiata e con il compare che continua a vincere dice:” Basta, con lei non gioco più, ha già vinto abbastanza!”

Scatta la “portata tremenda”: “ Con lei non gioco più!” E gioca con gli altri compari, “con lei, con lei” e  arriva verso il budino. E fa finta di distrarsi. Quello che è stato escluso dal gioco tira fuori  cinquantamila lire e cerca di giocare, e rivolgendosi al budino: “ Giochi lei per me!”. E quella è l’esca. Perché il budino gioca e vince, ma non vince lui, ma quello che gli ha dato i soldi.

Riparte il gioco, stessa sceneggiata e rivince, allora il compare dice al budino:” Ma ha visto come è facile, ma giochi lei. Quello tira fuori il portafoglio . Quando tiri fuori il portafoglio hai già perso!. Perché se tu perdi la prima botta tenti di recuperare e così salta la seconda tagliola, perché da cinquantamila vai a centomila di colpo. Il giro viaggia con rapidità estrema, perché se no come fanno a campare in dieci? Curano uno solo finché quello li è spogliato, e poi passano ad un altro. Alla fine sono tanti i “budini” che hanno lasciato parecchie centinaia di carte da mille.

 

 

 (*) Vedi in  “Milano e il suo territorio”  Silvana Editoriale, 1985, volume II, Bruno Pianta Vendere le parole. Marginali e mondo ambulante nella cultura popolare”